30 Aprile 2024

TFR al fondo pensione e cambio azienda: cosa fare in questi casi?

Come è ormai noto, i lavoratori dipendenti, sia del settore privato che di quello pubblico, sono tenuti, entro sei mesi dall'assunzione (ai sensi del D.Lgs 252/2005), a effettuare una scelta importante: decidere se mantenere il Trattamento di Fine Rapporto (TFR) all'interno dell'azienda o trasferirlo in un fondo pensione. Tuttavia, è fondamentale considerare le conseguenze di questa decisione nel caso in cui il lavoratore, dopo aver optato per il versamento al fondo pensione, cambi lavoro a seguito di dimissioni o licenziamento. Vediamo insieme le varie casistiche.

Di cosa stiamo parlando?

Il Trattamento di Fine Rapporto (TFR), istituito dalla Legge n. 297/1982, è una somma di denaro dovuta al lavoratore subordinato al momento della cessazione del rapporto di lavoro, come previsto dall’art. 2120 del codice civile.  I soggetti interessati a tale indennità di fine rapporto sono tutti i lavoratori subordinati assunti indipendentemente dalla tipologia di rapporto di lavoro subordinato (a tempo determinato, indeterminato, a tempo parziale, con contratto di apprendistato). Ogni lavoratore dipendente, entro 6 mesi dall’inizio di un rapporto di lavoro, deve scegliere se conferire il TFR ad un fondo pensione o se tenerlo in azienda.

Come viene calcolato il TFR?

Dal 1° gennaio 1990 il calcolo del TFR è determinato sommando per ciascun anno di servizio una quota pari all’importo della retribuzione dovuta, divisa per 13,5. Si devono computare come mese intero le frazioni di mese uguali o superiori a 15 giorni (art. 2120, c. 1, c.c.). Il trattamento di fine rapporto, con esclusione della quota maturata nell’anno, è rivalutato al 31 dicembre di ogni anno, con applicazione di un tasso pari all’1,5% + il 75% dell’aumento dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, accertato dall’ISTAT.

Esempio
Se nel 2023 ho percepito una retribuzione annua di 37.000,00 € (imponibile previdenziale, non quello fiscale) il mio TFR sarà pari ad € 2.740,74 (37.000,00/13,5).

Attenzione
Il calcolo della quota di TFR da accantonare è una norma inderogabile dalla contrattazione collettiva o individuale, pertanto, non soggetta a modifiche né in aumento né diminuzione. L’unica eccezione è per il settore agricolo, in quanto in alcuni CCNL per gli Operai agricoli a Tempo Determinato (OTD), è prevista una maturazione in percentuale che generalmente è pari all’8,63%.

Si può chiedere un anticipo?

L’art. 2120 del Codice Civile, permette ai lavoratori dipendenti con almeno 8 anni di servizio presso lo stesso datore di lavoro , di chiedere una sola volta nel corso del rapporto di lavoro, un anticipo del TFR per un importo non superiore al 70% del TFR maturato. Le richieste dei dipendenti sono da soddisfarsi annualmente entro il limite del 10% degli aventi diritto e comunque del 4% del totale dei dipendenti se sussistono determinate condizioni soggettive e oggettive.

Quali sono i motivi per cui è possibile chiedere un anticipo?

  • Spese sanitarie;
  • acquisto prima casa per sé o per i figli;
  • congedo parentale (ex art. 5, D.Lgs. n. 151/2001);
  • congedo per la formazione (ex art. 7, Legge n. 53/2000). In questo non è previsto il requisito degli 8 anni di anzianità di servizio. A tal proposito vedasi Circolare n. 85/2000 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali;
  • Altre ipotesi previste dalle parti. Infatti, anche la contrattazione collettiva e/o individuale possono prevedere condizioni di miglior favore.
Attenzione all’erogazione mensile

Il trattamento di fine rapporto (TFR) è un elemento retributivo differito che viene erogato in un momento successivo rispetto alla prestazione dell’attività lavorativa ed è costituito dagli accantonamenti effettuati annualmente e dalla rivalutazione periodica calcolata sul TFR già accantonato. Proprio per questo motivo al momento della sua erogazione (anche in caso di anticipazioni), non è soggetto a contribuzione previdenziale e tassazione ordinaria ma solamente a tassazione separata ai sensi degli artt. 17 e 19 del T.U.I.R. 917/1986. Il disposto normativo definisce il calcolo da effettuare per la quantificazione del TFR, prevedendo che la maturazione annua corrisponda circa alla retribuzione mensile lorda spettante al lavoratore più le previste rivalutazioni.

L’art. 2120 citato, inoltre, dal comma 6 al comma 11, regolamenta l’istituto dell’anticipazione del TFR, cioè la possibilità da parte del lavoratore di ottenere in anticipo, rispetto alla cessazione del rapporto, le somme accantonate, o parte di esse. Il datore di lavoro non può erogare anticipazioni del TFR unilateralmente ma può farlo solo se il dipendente lo richiede espressamente (comma 6 dell’art. 2120 c.c.). Relativamente alla anticipazione mensile del TFR in busta paga, seppur in presenza di un accordo individuale tra le parti sulla base della previsione contenuta all’art. 2120, comma 11 c.c., l’erogazione delle anticipazioni su base mensile fa venir meno il concetto di retribuzione differita propria del TFR, che prevede la non applicazione della contribuzione previdenziale Inps e solamente l’assoggettamento a tassazione separata. La giurisprudenza si è già espressa in materia, prevedendo che “non è valida la pattuizione, individuale o collettiva, che disponga l’anticipazione mese per mese del trattamento di fine rapporto nella retribuzione corrente” (Cass. Sez. lav. N. 15813 del 11 novembre 2002). In questo provvedimento, viene sottolineato come la natura giuridica di ciascuna delle erogazioni del datore di lavoro vada accertata in base alla sua funzione obiettiva e alla concreta disciplina applicabile, a prescindere dalla qualificazione che viene attribuita dalle parti. Pertanto, in occasione di tale decisione, la Corte ha stabilito che le erogazioni dell’indennità di anzianità (oggi TFR) su base mensile, sotto il profilo causale, vadano considerate corrisposte “in dipendenza del rapporto di lavoro” quindi assoggettabili a contribuzione previdenziale e tassazione ordinaria.

È possibile avere una parziale conferma ricordando quanto avvenuto dal 2015 al 2018 con l’introduzione del Quir (Quota maturanda del trattamento di fine rapporto come parte integrativa della retribuzione), nuovo istituto sperimentale che ha previsto, per i lavoratori che lo hanno richiesto, l’erogazione mensile del TFR in busta paga. In tale circostanza, la normativa ha stabilito che le cifre erogate in tale modalità, seppur esenti da contribuzione previdenziale, fossero assoggettate solo a tassazione ordinaria come normale retribuzione. Tale istituto al termine del periodo di Sperimentazione, è stato abrogato.

La cessione del TFR

I lavoratori possono cedere l’intero TFR in quanto non si applica il limite del quinto dello stipendio ai sensi dell’art. 52, D.P.R. n. 180/1950. È ammissibile vincolare il TFR quale garanzia di prestiti personali (con cessione del quinto o delega di pagamento), sia per la quota già accantonata sino a quel momento in azienda che per quella che maturerà successivamente. Se il lavoratore, prima o dopo la sottoscrizione del prestito garantito dal TFR, sceglie di destinare il TFR alla previdenza complementare, il datore di lavoro che riceve la notifica della cessione in garanzia del TFR, è tenuto ad informare il cessionario.

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Entro quando deve essere pagato il TFR?

Alla cessazione del rapporto di lavoro(per dimissioni, licenziamento individuale o collettivo) il lavoratore ha il diritto a ricevere la quota di TFR. Il credito è immediatamente esigibile salvo diversa previsione del contratto collettivo e si prescrive in 5 anni (art. 2948, c. 5, c.c.).

Attenzione
Il TFR viene erogato direttamente dal datore di lavoro fatta eccezione per quelle aziende con almeno 50 dipendenti per le quote maturate dopo il 30 dicembre 2006 che vengono liquidate dal fondo di tesoreria dell’INPS (ovvero anticipato dal datore di lavoro che poi conguaglia mensilmente l’importo).

In caso di insolvenza del datore di lavoro?

In caso in cui il datore di lavoro sia soggetto a procedure concorsuali, interviene il Fondo di garanzia INPS per il TFR che si sostituisce al datore di lavoro nel pagamento spettante ai lavoratori ai sensi dell’art. 2, Legge n. 297/1982).

Come viene tassato il TFR?

Il TFR è assoggettato a tassazione separata IRPEF ai sensi degli artt. 17 e 19 del T.U.I.R. 917/1986. Tale importo, pertanto, non concorre alla formazione del reddito complessivo dell’anno d’imposta in cui è percepito. Questo per evitare un eccessivo carico fiscale in capo al lavoratore. Ci sono due differenti modalità di calcolo: una per le quote di TFR maturate fino al 31 dicembre 2000 e una per le quote di TFR maturate dal 1° gennaio 2001 in poi.

Somme maturate fino al 31 dicembre 2000
Tassazione separata con applicazione di un’aliquota media su un reddito imponibile ridotto per una quota pari a euro 309,87 annui. È una tassazione calcolata in modo definitivo dal sostituto di imposta anche per le quote di rivalutazione.

Somme maturate dal 1° gennaio 2001
Tassazione separata con applicazione di un’aliquota media su un reddito imponibile con esclusione delle somme maturate a titolo di rivalutazione. L’ammontare dell’imposta calcolata è provvisoria ed è soggetta ad una riliquidazione da parte degli uffici finanziari in base all’aliquota media di tassazione dei 5 anni precedenti a quello in cui è maturato il diritto alla percezione.

Per le quote di rivalutazione annua, c’è sempre una tassazione separata con imposta pari all’11% per i periodi dal 2001 al 2014 e pari al 17% a partire dal 2015.

TFR elevati
Dal 2011, per le quote eccedenti l’importo di 1.000.000 € è prevista una tassazione ordinaria sulla parte eccedente tale importo.

Il TFR e la previdenza complementare

La previdenza complementare viene istituita con il D.Lgs. n. 124/1993 (e successivamente “rilanciata” con il D.Lgs n. 252/2005) con l’obiettivo di creare una forma pensionistica aggiuntiva rispetto al regime obbligatorio pubblico dell’Inps e delle Casse professionali. Nel momento in cui un lavoratore dipendente inizia un nuovo rapporto di lavoro deve decidere, entro 6 mesi dall’assunzione, se conferire il proprio TFR ad una forma pensionistica complementare o se mantenerlo presso il datore di lavoro (tramite il modello TFR2). Se il lavoratore decide di mantenere in azienda il TFR, in qualsiasi momento successivo, può decidere di aderire ad un fondo pensione per le quote di TFR maturando, restano quindi in azienda, le quote di TFR maturate fino al giorno prima dell’adesione (tali somme, possono comunque essere versate al fondo pensione solo se il datore di lavoro acconsente).
Nel nostro ordinamento possiamo distinguere due tipologie di forme di previdenza complementare:

Forme pensionistiche complementari collettive

Sono i fondi pensione di tipo negoziale (detti anche “fondi chiusi”) e i fondi pensione aperti ad adesione collettiva. Es. Cometa per il CCNL metalmeccanici industria, Fon.Te. per il commercio, ecc.

Forme pensionistiche complementari individuali

Sono i fondi pensione aperti ad adesione individuale e contratti di assicurazione sulla vita.

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Se il lavoratore non decide entro i 6 mesi?

Se entro i 6 mesi, il lavoratore non decide dove conferire il TFR, il datore di lavoro procede seguendo questo ordine:

  1. Versamento dell’intero TFR al Fondo pensione previsto dal CCNL applicato;
  2. in presenza di più forme pensionistiche complementari, mancando un apposito accordo aziendale, il TFR va al fondo con il maggior numero di dipendenti aderenti in azienda;
  3. in mancanza di un fondo di categoria, il TFR va destinato al fondo pensione Cometa.

 

Se decido di aderire ad un fondo pensione, posso revocare la scelta?

No, la scelta di conferire il TFR a un fondo pensionistico complementare non può essere revocata. È possibile invece scegliere in qualsiasi momento di destinare il TFR ad un fondo pensione, se si era deciso di tenerlo in azienda.

10+1 motivi per cui conviene un fondo pensione

Prima o poi la maggior parte dei lavoratori si chiedono se conviene aderire ad un fondo pensione in vista di un futuro pensionamento e di un incremento del proprio assegno pensionistico. Aderire ad un fondo pensione, conviene? Scopriamo insieme cos’è, come funziona e come può aumentare l’assegno pensionistico.

Se cambio lavoro?

Nel caso in cui il lavoratore, cambi datore di lavoro (per dimissioni o licenziamento) potremmo trovarci di fronte a più scenari:
SCENARIO 1

Il lavoratore aveva scelto di mantenere il TFR in azienda

In questo caso, entro 6 mesi dalla nuova assunzione, il lavoratore dovrà decidere se destinare il TFR ad un fondo pensione o tenerlo in azienda;

SCENARIO 2

Il lavoratore aveva conferito il TFR ad un fondo pensione chiedendo il riscatto totale per perdita dei requisiti di partecipazione

Anche in questo caso, entro 6 mesi dalla nuova assunzione, il lavoratore dovrà decidere se destinare il TFR ad un fondo pensione o tenerlo in azienda. Infatti, i lavoratori possono chiedere il riscatto totale o parziale della propria posizione nel caso in cui cessino il rapporto di lavoro o cambi il CCNL applicato (fondo negoziale). Nel caso in cui facesse un riscatto parziale, il lavoratore dovrà sempre confermare l’adesione al nuovo fondo pensione.

SCENARIO 3

Il lavoratore aveva conferito il TFR ad un fondo pensione e non ha chiesto il riscatto totale per perdita dei requisiti di partecipazione (o ha chiesto un riscatto parziale)

La scelta del lavoratore sulla destinazione del TFR alla previdenza complementare rimane efficace anche con riferimento al nuovo rapporto di lavoro. Il lavoratore dovrà indicare al nuovo datore di lavoro a quale fondo pensione destinare il TFR. Si possono verificare situazioni tali per cui il lavoratore potrebbe essere indotto a cambiare le scelte originariamente fatte. Un esempio è quello in cui il soggetto cambia settore di lavoro al quale corrisponde la cessazione del titolo di adesione al fondo originariamente scelto, dall’altra la possibilità di aderire a un nuovo fondo pensione negoziale. In questo caso, entro 6 mesi dalla nuova assunzione, il lavoratore deve esprimere la propria volontà, fermo restando che la scelta, non sarà se tenerlo in azienda o meno, ma a quale fondo pensione versare il TFR.

Possibile un riscatto parziale per perdita dei requisiti di partecipazione?

Un nuovo orientamento COVIP chiarisce che i fondi pensione possono consentire agli iscritti per i quali vengano meno i requisiti di partecipazione anche il riscatto parziale della posizione individuale ai sensi dell’art. 14, comma 5 del decreto n. 252 del 2005 (c.d. riscatto per cause diverse).  Laddove prevista dal fondo, tale opportunità consentirà di limitare la richiesta a una quota della posizione individuale, senza dover quindi necessariamente azzerare il percorso, già avviato, di costruzione della pensione integrativa. Il fondo che consentirà tale opzione dovrà, in particolare, determinare la quota di posizione individuale riscattabile parzialmente, indicandola nello Statuto se si tratta di un fondo pensione negoziale ovvero nel Regolamento se il fondo è aperto; in alternativa, potrà lasciare all’aderente la libertà di individuare la percentuale da riscattare.

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